sabato 24 gennaio 2009

Controversie in agopuntura

L'agopuntura non è placebo. Perché...
di Alessandro Scuotto

Il fatto che una pratica medica, sottoposta a critica qualche giorno fa sulle pagine di un quotidiano di informazione, abbia ottenuto la sua apologia su questo quotidiano da parte di un paziente – sia pure una autorevole firma giornalistica – in parte mi solleva dall’ipotesi che gli oltre venti anni da me dedicati allo studio e all’applicazione dell’agopuntura possano essere ridotti all’esercizio di imbonitore o di persuasore occulto. Nel contempo l’episodio mi stimola a qualche riflessione.

Il successo terapeutico di cui A.M. Parrino è dichiaratamente testimone non è una condizione episodica e non ha apparenze mirabolanti, ma rientra tra le aspettative consolidate dalla statistica: il 65% circa delle persone, che si sottopongono a terapia con agopuntura contro l’abitudine al fumo, smettono di fumare; il 25% circa riduce in maniera significativa il numero di sigarette consumate; il 10% circa non risponde alla terapia.

Non è questa la sede per discutere nel merito della questione: il dibattito scientifico va condotto nei luoghi opportuni e su queste righe otterrebbe solo di annoiare il lettore non addetto ai lavori. Ma mi sembra opportuno una serie di considerazioni metodologiche sulla divulgazione scientifica. L’articolo scientifico in lingua originale, al quale il corrispondente di Repubblica fa riferimento, è consultabile facilmente al sito
www.cochrane.org/reviews/en/ab007587.html; in primo luogo in esso non ci si riferisce all’emicrania, come erroneamente segnalato su Repubblica, ma ad un’altra patologia: la cefalea muscolo-tensiva. Inoltre le conclusioni alle quali pervengono gli autori sono le seguenti: “l’agopuntura potrebbe essere un apprezzabile strumento non-farmacologico nei pazienti con cefalea tensiva frequente, episodica o cronica”. Tuttavia l’accento sull’effetto placebo, posto nell’articolo di E. Franceschini su Repubblica, non mi sembra abbia riscontro con quanto segnalato nel lavoro scientifico nel quale Linde e coll. riferiscono piccoli benefici, ma statisticamente significativi, dell’agopuntura nel confronto con l’infissione casuale di aghi (“falsa agopuntura”).

L’effetto placebo è insito in ogni pratica medica ed è parzialmente responsabile di ogni successo terapeutico; si badi bene, parzialmente non vuol dire che una parte dei successi è esclusivamente dovuta a questo effetto, ma che tale componente agevola la buona risposta alla terapia, anzi è spesso invocata: ogni medico, con sufficiente esperienza clinica, punta alla collaborazione del paziente per ottenere la sua guarigione, e sarebbe folle a non farlo.
L’effetto placebo è indiscutibile, come è altrettanto innegabile il suo opposto: l’effetto “nocebo”. Quello che si verifica allorquando si pone l’accento sugli effetti collaterali indesiderati di un farmaco più che sulla sua azione, quello che si induce con il riferimento alla percentuale di mortalità anziché di sopravvivenza ad un evento patologico, quello che si persegue con un tentativo di informazione, accompagnata dal pregiudizio, che punta a screditare l’efficacia di alcuni tipi di terapia.

Articolo pubblicato sul quotidiano L'Ordine, 24 gennaio 2009

venerdì 9 gennaio 2009

La felicità è contagiosa

La felicità è contagiosa. – British Medical Journal
da: Medical News Today, 6 dicembre 2008
Traduzione dall'originale inglese di Silvia Scuotto

La felicità può davvero trasmettersi. Una ricerca pubblicata oggi su bmj.com prova che la felicità di una persona dipende dalla felicità di coloro i quali le sono accanto.

La felicità non è soltanto un’esperienza o una scelta individuale, ma dipende dalla felicità delle persone con le quali gli individui entrano in contatto, direttamente e indirettamente, e richiede una stretta vicinanza per diffondersi, dicono gli autori. Per esempio, un amico che diventa felice e vive tenendo duro, accresce la tua probabilità di felicità del 25%.

Il Professor Nicholas Christakis dell’Harvard Medical School e il Professor James Fowler dell’University of California, San Diego, hanno analizzato dati raccolti nel Framingham Heart Study, per scoprire se la felicità possa trasmettersi da persona a persona e se gruppi di felicità si formino all’interno di network sociali.

Nella Framingham Heart Study 5.124 adulti tra i 21 e i 70 anni furono reclutati e seguiti tra il 1971 e il 2003, per esaminare vari aspetti delle loro vite e la loro salute. Ai partecipanti fu chiesto di identificare i loro parenti, gli amici stretti, il luogo di residenza, e il luogo di lavoro, per garantire che potessero essere contattati ogni 2-4 anni per essere seguiti. Gli autori trovarono 53.228 legami sociali tra i 5.124 partecipanti per un totale di 12.067 persone. Si concentrarono su 4.739 persone seguite dal 1983 al 2003.

Ulteriori dati sulla salute mentale, raccolti utilizzando una scala di valutazione della depressione, registrarono accordo o disaccordo con quattro affermazioni “Ero speranzoso sul futuro”, “Ero felice”, “Mi piaceva la vita”, “Sentivo di essere buono quanto le altre persone”. In questo scritto su BMJ, gli autori definirono la felicità come un perfetto punto di partenza per tutte e quattro le affermazioni.

Utilizzando analisi statistiche, i ricercatori misurarono come i network sociali fossero correlati con la riportata felicità. Scoprirono che in una convivenza, quando uno dei due partner diventa felice, aumenta la probabilità dell’altro di essere felice dell’8%, effetti simili furono visti tra fratelli che vivono a stretto contatto (14%) e vicini di casa (34%). I colleghi di lavoro non si trasmettevano felicità, il che suggerisce che il contesto sociale può limitare la trasmissione di stati emotivi.

La cosa interessante sta nel fatto che non sono solo i legami sociali immediati ad avere impatto sui livelli di felicità, ma la relazione tra la felicità delle persone si può estendere a tre gradi di separazione (all’amico dell’amico di un amico). Infatti, le persone che sono circondate da gente felice probabilmente diverranno felici in futuro.

In modo rilevante, riportano che la stretta vicinanza fisica è essenziale perché la felicità si trasmetta. Una persona ha il 42% di possibilità in più di essere felice se un amico che vive a meno di mezzo miglio di distanza diventa felice, l’effetto è solo del 22% per gli amici che vivono a meno di due miglia di distanza, e questo effetto declina e diviene insignificante alle maggiori distanze.

Le scoperte suggeriscono che i gruppi di felicità risultino dalla trasmissione della felicità e non solo da una tendenza delle persone a omologarsi a individui simili.

Gli autori dicono:”I cambiamenti nella felicità individuale possono propagarsi attraverso network sociali e generare una lunga struttura nel network, facendo sorgere gruppi di felicità e infelicità individuali.”

Concludono:”La cosa più importante dal nostro punto di vista è il riconoscimento che queste persone sono incastrate in network sociali e che la salute e il benessere di una persona influisca sulla salute e sul benessere di altri. Questo dato importante fornisce una fondamentale giustificazione concettuale per la caratteristica della salute pubblica. La felicità degli uomini non è semplicemente il territorio di individui isolati.”

In una redazione associata, il Professor Andrew Steptoe, dell’University College di Londra, e la Professoressa Ana Diez Roux, dell’University of Michigan School of Public Health, aggiungono che lo studio è “innovatore”: “Se, (some queste scoperte suggeriscono) la felicità è, appunto, trasmessa tramite connessioni sociali, potrebbe indirettamente contribuire alla trasmissione sociale della salute”, e ha importanti implicazioni per la formazione della politica e delle mediazioni.

Comunque, in un’altra ricerca, Jason Fletcher, della Yale University, e Ethan Cohen-Cole, della Federal Reserve Bank of Boston, avvisano che i metodi usati per scoprire gli effetti dei network sociali negli studi di Christakis e Fowler sono soggetti a “potenziali grandi pregiudizi.. che potrebbero produrre effetti dove non ve ne sono.”

Esaminarono se gli effetti del network possano essere scoperti per tre problemi della salute – mal di testa, problemi di pelle, e altezza. Scoprirono che, ad esempio, i problemi di acne di un amico aumentano la probabilità dei problemi di acne dell’altro, e che anche la probabilità che un individuo abbia dei mal di testa aumenta con la presenza di un amico che ha mal di testa. Ma dopo aver controllato le confusioni ambientali, questi effetti dei network sociali sparirono. Concludono: “Questi metodi possono produrre premature rivendicazioni di effetti del network sociale nei problemi di salute.”

Fowler JH, Christakis NA, Dynamyc spread of happiness in a large social network: lomgitudinal analysis over 20 years in the Framingham Heart Study, BMJ 2008; 377: a2338.
Cohen-Cole E, Fletcher J, Detecting implausible social network effects in acne, height, and headaches: longitudinal analysis, BMJ 2008; 377: a2533.
Steptol A, Diez Roux AV, Happiness, social network, and health, BMJ 2008; 377: a2781.