Verso una medicina integrata
di Alessandro Scuotto
L’ampliamento progressivo delle conoscenze scientifiche ha determinato un sovraccarico informativo nella medicina che non è più adeguatamente gestibile da un solo operatore in maniera omnicomprensiva. Accanto a ciò il progresso tecnologico ha condotto la medicina dall’iniziale visione olistica, basata cioè sull’osservazione della persona nella sua interezza, ad una visione sempre più analitica, fondata prevalentemente sulle rilevazioni oggettive strumentali e di laboratorio. Ne è scaturita una frammentazione del sapere medico in un insieme sempre crescente di specializzazioni che sono andate sempre più distanziandosi fino ad isolarsi l’una dalle altre e a compromettere così la reciproca comunicazione. Il paradosso è che lo specialista in una particolare branca della medicina sovente non identifica più una figura che possiede speciali competenze in addizione alla conoscenza fondamentale, cioè “uno che sa di più”, ma un tecnico raffinato nella conoscenza esclusiva del dettaglio: “uno che sa solo quello”!
di Alessandro Scuotto
L’ampliamento progressivo delle conoscenze scientifiche ha determinato un sovraccarico informativo nella medicina che non è più adeguatamente gestibile da un solo operatore in maniera omnicomprensiva. Accanto a ciò il progresso tecnologico ha condotto la medicina dall’iniziale visione olistica, basata cioè sull’osservazione della persona nella sua interezza, ad una visione sempre più analitica, fondata prevalentemente sulle rilevazioni oggettive strumentali e di laboratorio. Ne è scaturita una frammentazione del sapere medico in un insieme sempre crescente di specializzazioni che sono andate sempre più distanziandosi fino ad isolarsi l’una dalle altre e a compromettere così la reciproca comunicazione. Il paradosso è che lo specialista in una particolare branca della medicina sovente non identifica più una figura che possiede speciali competenze in addizione alla conoscenza fondamentale, cioè “uno che sa di più”, ma un tecnico raffinato nella conoscenza esclusiva del dettaglio: “uno che sa solo quello”!
A tutto ciò si aggiunge una considerazione di ordine sociale che mira ad inquadrare la medicina come servizio erogato da una struttura prescindendo dai rapporti interpersonali. In un tipo di società che privilegia la visione mercantile dei rapporti, l’attenzione si sposta dagli aspetti etici a quelli commerciali, dal quale al quanto. La responsabilità delle scelte viene allora affidata a gestori economici, attenti a considerare le opzioni in base all’ipotetico recupero del numero di giornate lavorative perse o al risparmio sui giorni di degenza ospedaliera piuttosto che in relazione al benessere individuale; talora invece si assiste all’opera buffa di un contabile malaccorto che, per consentire la dispensa in economia di una prestazione sanitaria, elabora complesse procedure di valutazione che possono risultare più costose dell’erogazione della prestazione stessa.
La figura del medico tradizionalmente intesa viene soppiantata dalla appartenenza ad una istituzione e dall’attribuzione di una ulteriore etichetta di ruolo. In una situazione colloquiale qualunque alla domanda di prassi “Lei di che cosa si occupa?”, la risposta consueta: “Faccio il medico” è percepita carente e sollecita immediatamente l’interlocutore a richiedere precisione: “Dove?”, “Che tipo di medico?”. Le circostanze legittimano dunque l’instaurarsi di una relazione medico-paziente che, anziché evolvere sul piano della fiducia, esita in un confronto impersonale e poco soddisfacente tra due posizioni obbligate.
La domanda attuale è quella di colmare la divaricazione in atto tra l’esigenza di risolvere, con l’ausilio di competenze specialistiche e dei mezzi tecnologicamente più avanzati, il problema clinico specifico e la necessità di garantire attenzione e responsabilità continuativa di cura nei confronti del paziente. Si rende necessario quindi un recupero del valore antropologico della professione medica che privilegi le attitudini umane, l’etica, la capacità di empatia e la disponibilità ad operare con mentalità complementare integrando i diversi approcci per lo studio e la soluzione del quesito clinico.
Il consenso che registrano le cosiddette medicine non convenzionali è assicurato innanzitutto dal pregio, che la maggior parte di esse ha, di collocare nuovamente al centro dell’interesse del medico l’Uomo che, attraverso il problema clinico, pone l’interrogativo complesso della sua situazione biologica. Lo sdegnoso appellativo di alternativa può essere accolto in discordanza con una medicina basata sull’evidenza che non esita a sconfessare le evidenze quando queste appaiono troppo semplici e che corre il rischio di arroccarsi su posizioni di presunta superiorità metodologica in nome di una verità precodificata.
Da ultimo, come conciliare il lavoro del medico con l’esigenza di gestione personale inderogabile della tutela di sé e quindi della propria salute? Assicurare scelte non vincolate a protocolli rigidi né orientate dalla paternalistica benevolenza, bensì indirizzate da un rapporto fiduciario maturo che investa nelle risorse della comunicazione corretta (ben oltre il formalizzato consenso informato) e proponendo uno scenario nel quale metodologie convergenti dai piani di studio sia analitico che sintetico possano coesistere in una medicina integrata.
Articolo pubblicato su Le Connessioni Inattese, dicembre 2005.
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