di Alessandro Scuotto
Se a stimolare l'interesse dei mezzi di informazione sul rapporto ricchezze e felicità sia la contingenza economica non favorevole oppure se sia la progressiva consapevolezza che lo stile di vita attualmente vissuto in occidente appare sempre meno esportabile al resto del globo perché insostenibile, è difficile da dire. Certo, leggendo alcune notizie corredate di rafinate analisi statistiche si può indulgere a rassicuranti conclusioni: "Il denaro, in fondo, non dà la felicità", ma il luogo comune è umoristicamente facile da infrangere, "Figuriamoci la miseria!" (W. Allen).
La realtà è che l'accostamento tra i due temi è improprio e sitemi di valutazione dell'uno non si adattano ad esprimere considerazioni sull'altro: come sottolinea efficacemente P. Legrenzi sul Sole 24ore, è come confrontare ciliege e mele. Lo stato di benessere soggettivo non è correlato con l'indicatore più noto di ricchezza di una comunità, il Prodotto Interno Lordo.
Questa dissociazione è nota da tempo, è sorprendente invece come sia stato possibile generare la falsa convinzione di una loro relazione. In un articolo, apparso il mese sorso su Herald Tribune, il filosofo statunitensa Simon Critchley pone provocatoriamente l'accento sul sistema di valori nel mondo attuale, nel quale la sola cosa in cui possiamo avere fede è il denaro. La declinazione come fine di ciò che, per sua natura, è un mezzo è alla base di una distorsione interpretativa e conduce a valutazioni inappropriate.
La necessità di nuovi indicatori di salute di un paese o di una comunità, suggeriti dalla commissione Stiglitz, non è nuova, ma è un passo avanti nella valutazione del benessere non solo connesso al reddito o all'occupazione, ma anche alla soddisfazione nelle relazioni personali e alla sensazione di avere uno scopo nella vita. L'idea di considerare la Felicità Nazionale Lorda, di cui il piccolo regno himalayano del Bhutan è stato pecursore, non sostituisce l'indicazione del PIL, ma lo affianca nel delineare con maggiore precisione la condizione degli abitanti.
Per concludere "Il calcolo del nostro PIL tiene conto dell'inquinamento atmosferico, della pubblicità delle sigarette e delle corse in ambulanza per soccorrere i feriti sulle strade. Mette in conto i sistemi di sicurezza che acquistiamo per proteggere le nostre case e il costo delle prigioni in cui rinchiudiamo coloro i quali riescono a penetrarvi. Integra la distruzione delle nostre foreste di sequioe e la loro sostituzione con un'urbanizzazione tentacolare e caotica. Comprende la produzione del napalm, delle armi nuclearie delle automobili blindate della polizia destinate a reprimere i disordini nelle nostre città. Mette in conto... i programmi televisivi che glorificano la violenza allo scopo di vendere i giocattoli corrispondenti ai nostri bambini. In compenso il PIL non tiene conto della salute dei nostri figli, della qualità della loro istruzione né dell'allegria dei loro giochi. Non misura la bellezza della nostra poesia o la solidità dei nostri matrimoni. Non pensa a valutare la qualità dei nostri dibattiti politici o l'integrità dei nostri rappresentanti. Non tiene conto del nostro coraggio, della nostra saggezza o della nostra cultura. Non dice nulla della nostra pietà o dell'attaccamento al nostro paese. In breve, il PIL misura tutto, tranne quello che rende la vita degna di essere vissuta."
Queste parole sono estratte da un discorso di Robert Kennedy tenuto durante la sua campagna elettorale il 18 marzo 1968.
Articolo pubblicato sul quotidiano L'Ordine, 22 settembre 2009.
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